La storia umana è lunga e piena di misteri, ma di certo il ruolo del vino non è mai stato contraddittorio.
Sin dalle sue apparizioni su tavole più o meno imbandite, è sempre stato sinonimo di condivisione, convivialità e piacere.
Non molti, però, sanno che tante usanze che oggi colleghiamo al vino come se fossero scontate vengono invece dall’Antica Roma: qui il vino arrivò da lontano, forse dai sumeri, forse da civiltà ancor più antiche, ma sicuramente grazie a Greci e Fenici che ne trasmisero la sacralità legata al culto di Dioniso.
Fu per merito dei Romani che da bene di lusso spesso relegato ai culti il vino divenne un vero e proprio “compagno” di pranzi o cene: quando era ancora troppo costoso, la bevanda si allungava con l’acqua calda o fredda, seguendo rigide regole sulle parti (mai metà e metà).
Diluendo, le classi più alte trasmisero anche a quelle più basse la necessità di sorseggiare questa bevanda: a cambiare era il tipo di vino, che i più ricchi acquistavano puro e invecchiato, mentre i meno abbienti compravano diluito e relativamente giovane.
Il vino, ad ogni modo, divenne imprescindibile e immancabile nelle descrizione di banchetti passati alla storia (come quella di Trimalcione): un uso che è arrivato, ovviamente, anche ai nostri giorni.
E, nello specifico, ai Romani si deve anche l’odierna attitudine a trovare l’abbinamento perfetto con cibi specifici: carni e pesci venivano rigorosamente affiancati a vini più o meno invecchiati per esaltarne i sapori.
Ma non solo: persino l’ora dell’aperitivo è attribuibile ai Romani. Introdussero infatti l’abitudine della gustatio, un momento prima del pranzo o della cena in cui si offrivano dei cibi (veri e propri stuzzichini) accompagnati da un vino creato ad hoc, il mulsum, mielato e gustoso.
Infine, ai Romani va anche attribuito il merito di classificare il vino nei modi da sommelier che oggi ben conosciamo: delle figure specifiche (gli haustores) assaggiavano infatti il vino e lo spiegavano ai commensali.